A un oceano di distanza da noi per mesi e mesi, nel 2019 e nel 2020, il Cile è balzato nei notiziari internazionali perché travolto da un flusso di partecipazione popolare, da moltitudinarie proteste civili indette in nome di una società equa, libera dai retaggi della dittatura. Forti e prolungati scontri di piazza, manifestazioni e coprifuoco hanno lasciato il segno: da quel fatidico 18 ottobre, quando i cittadini hanno protestato per i rincari del biglietto della metro a Santiago, le agitazioni hanno coinvolto ogni aspetto della vita del paese: sanità, istruzione, sistema pensionistico, trasporti, arrivando a formulare la richiesta politica cardine di ogni democrazia, una nuova Costituzione.
Stiamo parlando di un Paese con una struttura socio-economica (welfare del tutto privatizzato e immobilismo sociale, per fare due esempi) immutata dalla fine della feroce dittatura di Pinochet ad oggi, un Paese finora riconosciuto come il più stabile economicamente dell’America Latina, “eccezione” regionale o “modello” per gli standard dell’economia neoliberale. La rivolta, evidentemente, ha radici profonde da cui possiamo trarne preziose lezioni anche noi, da questa parte del mondo. Dialogano assieme Nora Rodríguez ed Enrico Padoan (ricercatore presso la Scuola Normale Superiore di Pisa).